Capolinea

Partenza alla stazione di Ulan-Ude
Fortunatamente siamo saliti preparati. Tra di noi e le tre grasse signore del nostro scompartimento di terza classe è stata una guerra ad armi pari. Sulla transiberiana infatti si mangia. La vita è cullata dallo sferragliare sui binari e c’è ben poco altro da fare, a parte giocare a carte (loro), backgamon (noi), scrivere o leggere. 

  

Abbiamo passato tre notti e tre lunghi giorni relegati ad un letto nel posto corridoio, senza un minimo di privacy e spostando i piedi o le spalle per l’andirivieni continuo del mezzo vagone di militari odorosi (nel senso pieni di odori) che facevano spola verso la terra di mezzo dove, previa la corruzione della responsabile del vagone, era possibile fumare. Sì perché ogni carrozza ha una sorta di hostess, che nulla ha che vedere con l’immaginario comune: senza sorrisi e corpo longilineo, il mastino supervisiona sulla pulizia e sull’amministrazione di posti e coperte e, probabilmente per arrotondare, obbliga all’acquisto di qualche gadget – con un piccolo sovrapprezzo – chiunque necessiti di un favore extra. Se a tutti i militari sono state vendute delle tazze per poter fumare una sigaretta, a noi è toccato un pupazzetto per poter sfruttare un angolino del frigorifero e conservare uova sode, formaggio e cetrioli.

   
 

Le brevi soste durante le  quali è possibile scendere dal treno servono per rimpinguare le scorte o sgranchirsi le gambe. Sui binari è facile trovare venditori ambulanti di pesce essiccato o uova di pesce, oppure panzerotti fritti. 

    
 

L’alternarsi di generazioni che per motivi a noi sconosciuti viaggiano da un capo all’altro del paese non può far altro che portarci a ricamare storie di fantasia. E allora ecco che il vecchio sommergibilista senza una gamba ma con stampelle di legno e spalle larghe (che senza l’aiuto di nessuno era salito con due valigie enormi e le aveva spinte con l’unica gamba stando in bilico sulle ascelle) racconta le sue avventure affascinando i giovani e rievocando in un’altra anziana coppia il ricordo di anni passati. La ragazza che piangeva baciando lasciva il suo amore sul binario ora sorride e ha una tresca con uno dei militari che probabilmente l’aspettava già a bordo. I poliziotti saliti per un controllo random si soffermano a guardare la barba di Marco e farfugliano “islamisky”, ma le tre signore sempre più grasse – che da un dettaglio di una scatola di cioccolatini arzigogoliamo che siano di ritorno da una vacanza in Kazakistan – li scacciano dicendo che siamo turisti e che siamo italiani. Come se fosse un sottofondo in nostro onore, aleggiano a ritmo cadenzato le canzoni di Totò Cutugno. E questa non è fantasia, ma lo stereo del mastino.

Fuori dal finestrino regnava la patina biancastra del gelo e le fumate vaporose di ciminiere e caminetti segnalavano un’immobile presenza umana, ma sono state proprio la monotonia del paesaggio e il rumore ipnotico delle rotaie a fare da cornice alla vita nel convoglio, che è stata la vera essenza di questo viaggio. 
Video sulla transiberiana 

Quando arriviamo a Vladivostok è ancora notte, aspettiamo le prime luci dell’alba con la testa ciondolante sulle poltroncine della stazione. L’indomani ci aspetta il traghetto che ci staccherà dalla terraferma. Lasceremo il continente euroasiatico dopo nove lunghi mesi. 

   
    

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