Dopo due mesi in Turchia , dopo aver quasi imparato a cavarsela con quella lingua che pareva così ostrogota ecco che ci ritroviamo di nuovo a ricominciare da zero.
Il viaggio sul Trans Asya Expresi è più stancante di quello che avessimo pensato, ma nonostante i vari stop in dogana e annesse code per farsi mettere i timbri, arriviamo a Tabriz, in Iran.
Non capiamo una sola parola, le scritte sono geroglifici, non abbiamo soldi locali (e per chi non lo sapesse non si può prelevare ne pagare con carta) ed è venerdì, che corrisponde alla nostra domenica ed ovviamente tutti i cambi sono chiusi. Rifiutiamo le avance dei tassisti, percorriamo i 3km che ci separano dal centro città e con stupore troviamo molta gente che capisce l’inglese e soprattutto che cambiare soldi sul mercato nero è facile e conveniente. Bene, troviamo una pensione maleodorante e lasciamo la zavorra in camera, e poco dopo essere usciti veniamo avvicinati da due ragazzi, Sam e Sajjad ed entriamo così nel vivo di quello che è l’ospitalità di questo paese. Senza esitazioni saliamo in macchina con loro, passiamo la serata insieme passeggiando e l’indomani ci portano a mangiare il dizi in una locanda sotterranea frequentata da lavoratori che mai avremmo trovato.

La giornata scorre poi lenta all’interno dell’immenso bazar coperto (7kmq di superficie). Piccoli grandi uomini ormai ingobbiti dall’età e dal duro lavoro continuano a trainare carretti colmi di merci, altri vendono zampe di mucca scuoiate, spezie di ogni tipo e datteri succulenti, interi reparti vendono solo tessuti neri per i chador, e l’enorme reparto di tappeti funge da ritrovo per la pausa tè.

Non lontano da lì, ma lontano da occhi indiscreti, uomini si rintanano in una sorta di localino piastrellato e claustrofobico per fumare ad un ritmo incessante il qalyan (narghilè). Il rumore prodotto dalle bolle nell’acqua non ha pause e sembra davvero di essere in una vasca idromassaggio.
Con le attenzioni che di solito ti riserva un innamorato veniamo viziati e riempiti di piccoli regalini per i due giorni a seguire e prima della nostra partenza passiamo anche a bere un tè a casa della famiglia di Sam. Ci scortano al terminal dei bus, contrattano per farci avere il prezzo migliore, e ci salutiamo sotto un diluvio universale e con un velo di tristezza per questo ennesimo “addio”.
