PILLOLE Turchia  

 


Non soffiatevi il naso in pubblico.

Per salutarsi gli uomini si danno due testate. Il movimento è lo stesso dei due baci (destra e sinistra) ma il contatto avviene con la fronte.

Le scarpe si tolgono appena entrati in casa e ci si mette delle ciabatte. Per il bagno ci sono delle ciabatte ad hoc.

La carta igienica scompare man mano che si va verso est e così anche la tazza in ceramica. Prendono piede la turca e un rubinetto con una caraffina. Scompare lo sciacquone.            I bagni pubblici sono a pagamento.

Le parole inglesi o francesi sono diventate parte del loro vocabolario, ma le scrivono in turco (hotel boutique=otel butik, t-shirt=tišört, accessoires=aksesuar, coiffeur=Kuaför…)

Prima di uscire, dopo aver mangiato, o in altre occasioni vi verrà offerta della colonia da mettere in faccia. 

Al supermercato è quasi impossibile trovare confezioni di yogurt sotto il mezzo chilo. 

Ogni momento è buono per bere un tè.

Non esiste colazione (kavahılti) senza formaggio, pomodori cetrioli e olive. 

I due dolci nazionali sono il baklava (che dovrebbe avere origine nel sud est) e il lokum (che pare invece appartenga al nord ovest). 

Il ciğ köfte (polpetta cruda) oggi è un ottimo piatto vegetariano. In passato era carne cruda ma ora le polpette vengono fatte con bulgur e spezie. 

Il Lamachun ha origine arabe ed è arrivato in Turchia da sud est.

L’automobile più diffusa è una vecchia Renault 12.

Il benzinaio oltre a fare benzina si segna anche il numero di targa.

Al semaforo rosso chi è davanti può rilassarsi e distrarsi. chi sta dietro suonerà il clacson appena diventerà verde.

Le donne turche sono moooolto gelose.

Il viola è il colore della fertilità e gran parte delle donne curde porta il velo di questo colore. Sempre nel sud est è tradizione per le anziane portare un velo bianco.

Ad Atatürk piaceva bere, ad Erdoğan no.
 

 

Andiamo a Van Gölü!

  
Prendiamo di petto il fatto di non avere più una macchina a nostra disposizione e decidiamo di farci 18 ore di pullman per attraversare praticamente tutta la Turchia e arrivare a Van, vicino al confine iraniano.

  
Dopo un inaspettato controllo dei passaporti e qualche domanda da parte di due poliziotti in borghese al terminal di partenza di Ankara, saliamo sul nostro rocambolesco bus che pare fermarsi ad ogni richiesta dettata dalla vescica dei passeggeri. La notte scorre lenta, una ruota si buca, le caviglie si gonfiano, veniamo incolpati per la puzza di piedi – ma non siamo noi! È la signora dietro di noi con il mix fatale calze di nylon e ciabatte in gomma!! – e arriviamo stravolti con la sensazione di jet leg tipica di un volo intercontinentale. 
Non contenti raggiungiamo a piedi la stazione dei treni, compriamo il biglietto per il Trans Asya Ekspresi che ci porterà in Iran, ci facciamo qualche altro chilometro a piedi per raggiungere il centro città e aspettiamo che il nostro host finisca di lavorare e che ci apra le porte del paradiso, ovvero di casa sua.

Il lago di Van (Van Gölü) è enorme, bellissimo, circondato da montagne innevate con cime che arrivano a 4000 mt. Con una serie di autostop ad incastro perfetto riusciamo a fare 40 chilometri a budget zero e arriviamo a Gevaş giusto in tempo per prendere una barca che ci porta sull’isola di Akdamar.

Akdamar kilisesi, Van Gölü e il Çadır Dağı sullo sfondo
Dettaglio della chiesa, bassorilievo raffigurante Davide e Golia
La chiesa di Akdamar
Vista dal castello di Van
Il castello di Van

Conosciamo una coppia di biologi molto biondi, molto alti e indiscutibilmente nord europei, appassionati di rettili che girano il mondo per cercare serpenti, salamandre e rane. Mentre noi visitiamo la chiesa armena e ci godiamo la vista, loro sollevano sassi e guardano nei cespugli. 

 

È arrivato il momento di dire addio alla Turchia, ai baklava, ai Çığ köfte e di salire sul treno.  

Safranbolu 

In ricordo del goodbye party!

Safranbolu è davvero un gioiellino, una cittadina ottomana che conserva ancora antiche case e stradine e che in qualche modo ci ricorda tanto Santa Fè de Antioqua, in Colombia. 

 

Arriviamo senza rendercene conto il primo di maggio, le viuzze sono fiumi umani e i negozi di lokum sono presi d’assalto (anche da noi sia chiaro) quindi optiamo finalmente di concederci l’agognato hammam, che pare sia uno dei più belli della Turchia. 

Grazie ad Aybar, Farouk and Bhera (nostri host in couchsurfing) le due notti passate in tenda in quella sorta di campeggio zozzo a Sinop, sul mar nero, sono ora solo un brutto ricordo. Le grotte di Bulak dove ci hanno portato sono state assolutamente inaspettate, quello che ci siamo ritrovati davanti agli occhi è stato uno spettacolo sensazionale. E poi tante, tante risate. Non poteva andarci meglio!
  

Fondi di caffè..donne che ronzeranno attorno a Marco ..

   

Bulak cave. Incredibile
 

 

Sconfitta italiana..e come da tradizione, chi perde prende la tavla sottobraccio e la rimette al suo posto

 

 
   

  
 

Parentesi nera

  

Il bello del Mar Nero è essere in buona compagnia! Abbiamo deciso di andare a Taiwan probabilmente a marzo!

Già la nostra vena poetica e quello che è, metteteci in più un calo fisiologico dovuto ai 6000 km percorsi in macchina, e quello che (non) c’ha offerto il mar nero c’ha dato il colpo di grazia. Sappiate che scrivere questo articolo c’ha richiesto uno sforzo supplementare.

Abbiamo avuto per lo meno la fortuna di aver avvistato a pochi metri dalla riva una cinquantina di delfini che inseguivano probabilmente un banco di sardine e di essere stati ospitati in un super appartamento a Trabzon e assaporare insieme al nostro host (originario di Istanbul) una cena dal sapore italiano a base di filetto e vino rosso. 
 

Ok, questa parte di Trabzon è carina
 
 
Inizialmente una chiesa, poi moschea, poi museo,ora l’Aghia Sofia di Trabzon è tornata da un paio di anni ad essere una moschea, con conseguente copertura di tutti gli affreschi con un telo. Bravi!
 

Per il resto, la strada che costeggia il mare toglie qualsiasi possibilità a quest’ultimo di essere vissuto e apprezzato, la gente è rinomata in tutto il paese per essere chiusa, nazionalista e conservatrice – soprattutto i tifosi del Trabzonspor- e la quantità di immondizia che si trova nelle uniche aree verdi e nelle piccole spiaggie fa solo venir voglia di scappare.

In conclusione, se dovete organizzare un viaggio sulle coste dell’Anatolia le alternative sono due: Mediterraneo o Egeo!

  

Una spledida discarica sul mare!
   

Ani

Colazione
Di chilometri ne abbiamo macinati e abbiamo passato pure una notte in macchina a -7°, ma tutto sommato ne è valsa la pena. 
Lasciandosi alle spalle Kars – che un po’ per la neve e un po’ per il suo passato non cela il suo aspetto sovietico – ci dirigiamo nell’estremo est per gli ultimi 45 km che ci separano dal confine armeno. Il cielo è limpido, l’aria bella fresca e a farci da stella polare l’imponente cima innevata del monte Ararat che a tratti pare un fotomontaggio. 
 
La strada che conduce ad Ani finisce ad Ani, nessuno la percorre eccezion fatta per qualche pastore o contadino
 
Ed ecco che dal nulla e nel nulla si erge uno dei siti più belli che ci sia capitato di vedere fino ad ora. Le mura di cinta di quest’antica fortezza sono ben visibili da lontano e proprio per il fatto che intorno non ci sia nulla se non un canyon che divide due stati nemici ne esalta ancora di più il suo antico valore di porto sicuro lungo la desolata via della seta.
 
Il confine armeno
  

  

          

  

Non è un paese per vecchi 

Se c’è una cosa che abbiamo imparato a fare oggi – chi più chi meno… – è ballare sulle note delle canzoni popolari curde. Niente di troppo difficile sia chiaro, ci si tiene per i mignoli e in cerchio si gira guidati dal ritmo incalzante del percussionista cantastorie. Si perché le storie curde si tramandano oralmente, gli “anziani” cantano e ballano e i giovani assorbono le loro radici tramite la danza. 

 

Tutto questo non accade per strada ma nella Dengbê Evi (un centro culturale nel centro di Diyarbakır) dove tra un tè e l’altro gli arzilli si danno da fare affinché il ritmo non cessi mai. La generosità e la voglia di coinvolgerci sono tante, ci viene regalato addirittura un libro sulla città ma alle 5 la vorticante euforia rallenta, i musicisti ripongono i loro strumenti e restiamo nel cortile a rilassarci prima di andare sulle mura che circondano la città vecchia per gustarci il tramonto e prima di ripartire verso nord, e verso il freddo.  

Le mura della città

  

Pesce fritto del Tigri

Domino
 
Betul!! La nostra host e compagna di viaggio per un week end
 

   

Il mare di Mardin 

Arriviamo la sera in questa cittadina arroccata su una collina e ad aspettarci c’è Betul, una maestra di inglese originaria di Istambul che da poco si è trasferita in questa regione. Condividiamo la casa con altri due couchsurfer di Taiwan, che diventeranno poi i nostri compagni di viaggio per qualche giorno.

  

Çay (nel thermos) con vista
   
Quando in primavera le campagne si riempiono di fiori blu, ecco allora che sembra veramente “il mare di Mardin”

La nostra interminabile giornata inizia con un giro nel bazar, dove asini variopinti trasportano merci e dove compriamo mandorle acerbe da sgranocchiare. Due teen-agers siriani ci fanno da scorta e con il linguaggio del corpo scopriamo che una sorta di fabbro produce bende con oppio per curare i dolori. Entriamo in una piccola moschea e il nostro nuovo amico ci canta una lettura del Corano che parla di Maria. Teoricamente ci converte all’islam facendoci ripetere qualcosa, ma ormai siamo troppo lontani da pregiudizi per rifiutare. Sarebbe come dire no ad un bambino che vuole mostrarti fiero il suo album di figurine Panini.    

    

 

Conosciamo un altro ragazzo siriano, Fady, di origine armena, che da qualche tempo lavora come custode in una chiesa cattolica caldea in centro (qui a Mardin si trovano anche chiese di rito apostolico armeno e ortodosso siriaco). Al pari di come campanili e minareti svettano sullo stesso cielo, anche la nostra serata è un perfetto mix di culture, lingue e religioni. 

   
 

Cuore curdo

Arriva un momento in cui ti rendi conto che le cose sono cambiate, che nell’aria c’è qualcosa di diverso. Uomini donne e bambini ti squadrano come se fossi un extraterrestre ed essere vestiti come due escursionisti tedeschi di certo non aiuta. 

La prima reazione è quella di non sentirsi a proprio agio, anche se non vuoi diventi sospettoso ma quando capisci che gli sguardi sono solo di curiosità, allora tutto prende un’altra piega. Il curdistan turco ovviamente  fa parte della Turchia, è vero, ma conserva un’identità ben profonda e orgogliosa. La nostra prima vera tappa alla scoperta di questa regione è Urfa. Sbalorditiva. Molto mediorientale, caotica, non si sente quasi più parlare turco ma arabo e curdo (non che per noi cambi qualcosa alla fine). I ragazzi siriani che conosciamo per strada insistono per portarci in giro e altri ragazzini si fermano intorno a noi perché vogliono sapere da dove veniamo. Siamo a pochi chilometri dal confine con la Siria, di turisti in giro non se ne vedono molti e quando nel bazar ci perdiamo di continuo, chiunque è disposto a fare una viuzza con noi per portarci dove, secondo lui, è poi facile trovare la via di uscita. Il panettiere ci regala un lahmacun – non c’è verso di pagarlo – e i ragazzi che fanno catena di montaggio ci chiedono amicizia su Facebook. Il vecchietto di un negozio di tessuti, mentre parla al cellulare, vuole essere fotografato e vorrebbe offrirci un tè, le donne invece paiono troppo indaffarate per fare domande. 

Una delle due vasche del quartiere di Gölbaşı: vogliono ricordare la leggenda secondo cui Dio trasformó il fuoco su cui Abramo era stato condannato ad ardere in acqua. L’intero quartiere sorge intorno alla grotta importante meta di pellegrinaggio dove si dice essere nato il profeta.

      

      

  

  

 

 

 


Nemrut Dağı in-and-out

Basta fertili pianure e pistacchi, ci dirigiamo verso il monte Nemrut Dağı. Iniziamo ad inerpicarci su una strada tortuosa e il paesaggio si fa lunare. Arriviamo con poco tempismo subito dopo il tramonto (poco male, le teste della terrazza ovest sono ancora coperte dalla neve) e prima di montare la tenda condividiamo un pezzo di grana e scambiamo un massaggio alla schiena malandata di uno dei due custodi per un paio di tè e del tabacco.  

Bariş e Sadık, i due guardiani

Il Nemrut Dağı
    
Ci svegliamo all’alba e facciamo in fretta e furia i gradini che portano alla cima per vedere i primi raggi del sole baciare le teste che proteggono il tumulo funerario di re Antioco I Epifane. Non c’è che dire, l’atmosfera, la posizione e la vista sono magiche, peccato per la gabbia e le recinzioni messe a protezione delle teste -pure più piccole di quanto ci aspettassimo- senza un minimo di gusto. Mannaggia li turchi! 😉

Le statue della terrazza Est
  
  

Diretti verso Urfa optiamo per quella che pensiamo essere la via più breve, ma ci troviamo a dover attraversare l’Atatürk Barraj Gölü..

 

Il ponte non è ancora finito…
 
   

Benvenuti al Sud (est)

   

La strada che dalla Cappadocia ci porta verso sud-est sembra darci un anticipazione di quello che troveremo in Asia Centrale, o almeno così noi ce le immaginiamo: spazi ampi, catene montuose innevate che fanno sfondo, pascoli e poche macchine per strada. Arriviamo verso sera a Gaziantep, adagiata tra la valle dell’Eufrate e la Cilicia, considerata la capitale gastronomica della Turchia: qui sono nati i nostri amati baklava e secondo voci di corridoio è proprio da qui che ogni mattina ne parte un vassoio per la Casa Bianca.

   

Acquisti pazzi da Imam Çağdaş, la mecca dei buongustai. Pasticceria e ristorante sono davvero una tappa imperdibile.
 

Fıstıklı baklava (baklava al pistacchio)
Alberi di pistacchio che circondano Gaziantep
Alberi di noci

Il castello di Rumkale, roccaforte sulle rive dell’Eufrate