PILLOLE Cina

I bambini non usano il pannolino ma hanno un pratico taglio sui pantaloni che segue la riga del sedere

Gli uomini tirano su la maglietta mostrando la pancia 

Per dire “no” si tiene il gomito vicino al costato e si agita la mano, come un “ciao”, ma l’effetto è “non ne voglio sapere” (solitamente accompagnato da un “me-yooooo”)

Alcune stanze di alberghi vengono utilizzate per bische clandestine 

 

Per classificare la qualità di ristoranti e alberghi vengono apposti alla parete degli “smile” che ti fanno capire subito dove sei capitato

I guard-rail sono verde acqua 

È di buon auspicio legare all’auto (o al camion) dei nastri rossi 
Nel dubbio, suona il clacson 

Piace molto ricoprire il sedile dell’auto o la sella dello scooter

  

La maggior parte dei motorini sono elettrici e senza targa. Quindi guida selvaggia 

Se quando parlano cinese non capisci, ti scriveranno su un foglio quello che stanno dicendo (in cinese) 

Si beve acqua bollente 

Nei ristoranti si sceglie tra birra fredda o a temperatura ambiente

Quando si fa un brindisi, è buona educazione toccare il bicchiere altrui badando di tenere il bordo del proprio bicchiere al di sotto dell’altro, in segno di rispetto

Il resto viene dato con due mani

Prima di iniziare a lavorare, ai dipendenti viene fatto un discorso di team-building  

 

I bagni pubblici non sono a pagamento, anche se in alcuni si condivide “il momento” senza pudore: tante turche una affianco all’altra. 
La carta igienica è da avere con sè

Il tappo del lavandino non è estraibile ma “rotante”, come una moneta che tappa il buco se messa in orizzontale ma che fa scorrere l’acqua se è in verticale

Se vuoi prendere una pausa dalle regole del galateo a tavola -e non solo- sei nel posto giusto 

Sentiti libero di sputare 

Di fianco ad ogni tavolo nel ristorante, sui bus è un po’ ovunque ci sono secchi della spazzatura, usati spesso come sputacchiere 

 

Nei ristoranti il tavolo è rotondo, si ordina per tutti e il cibo viene messo al centro e condiviso

  

Tutti hanno uno Smart Phone e il selfie è all’ordine del giorno

Difficilmente verrai invitato a casa perché potresti portare energie negative

Verso sera donne e uomini di un po’ tutte le età svolgono a loro modo un po’ di attività fisica, in compagnia o da soli  

    
 

Anatra alla pechinese sulla muraglia proibita 

Piazza Tiananmen, Monumento ai caduti

Pechino ci inghiotte fin da subito. Siamo stanchi dopo l’allucinante viaggio in treno – notturno senza letto – e gli zaini sembrano pesare più del solito. Per raggiungere l’appartamento della nostra host di couchsurfing ci mettiamo più di un’ora di metropolitana e iniziamo a renderci conto delle dimensioni titaniche di questa città. 

 

La visita alla Città Proibita è un fiume umano che si accalca e sgomita (l’avevamo immaginato) ma ci facciamo trasportare da un senso di colpa nato dopo le oziose settimane a Shanghai. 

    
  

 

Dinastia Guangxu, 1875-1908
 

Dopo soli due giorni, approfittando del “bel” tempo (si intravede dell’azzurro e le temperature sono più alte rispetto alla media stagionale) rimpacchettiamo gli zaini alla ricerca di un sentiero secondario che dovrebbe farci arrivare sulla Grande Muraglia per godersela in solitudine senza frotte di turisti e senza pagare il biglietto (consiglio dettagliato fornitoci da un ragazzo russo conosciuto mesi prima nella regione dello Xinjiang). Una metro, un bus e un taxi collettivo ci portano in quattro ore a Tianxiangyu, dove risalendo il fiume fino alla fine del paese ci si imbatte in un ristorante di pesce con annesse vasche per l’allevamento: qui, sulla sinistra, parte il sentiero.  

 

Dopo un’ora e venti di salita in mezzo al bosco ce la troviamo davanti: maestosa si perde nell’orizzonte incorniciando i profili delle montagne. 


È ormai l’ora del tramonto, iniziamo a camminare e arrampicare, ci ritroviamo ad imprecare su passaggi tutt’altro che scontati su questa cresta a tratti disastrata fatta di roccia e mattoni. La notte ci ha colto un po’ impreparati ma non abbiamo scelta se non quella di proseguire fino a trovare un posto adatto per mettere la tenda. Passa più di un ora, abbiamo solo una torcia frontale e non sappiamo neanche se mai troveremo tre metri quadri per passare la notte. Dopo l’ennesima torretta diroccata finalmente tiriamo un sospiro di sollievo: non esattamente quello che ci immaginavamo ma lo spazio sufficiente per preparare i letti e l’immancabile noodles soup istantanea.  

L’alba

La mattina seguente dopo altre tre ore di cammino ci ricongiungiamo al tratto di muraglia “ufficiale”, quello perfettamente ricostruito e a pagamento – e raggiungibile con funivia – e controcorrente usciamo dall’entrata.  

Colazione
          
La parte ricostruita
 

Ritorniamo a Pechino, l’aria è irrespirabile, il cielo verte al giallo nei momenti peggiori ma grazie ad amici di nuovi amici (un gruppo di taiwanesi amici di Micheal, il ragazzo con cui abbiamo passato una giornata a Pammukkale) e contatti di Vittorio Veneto (si sa, i veneti sono ovunque) ci mettiamo una mascherina e ci godiamo gli ultimi due giorni di Cina negli hutong (quartieri vecchi) tra birra artigianale, anatra alla pechinese, un massaggio full-body e cocktail degni di nota.  

        

Questa non è l’anatra alla pechinese..

 
Piano superiore del Dlounge. Prezzi assolutamente alti e locale un po’ pettinato, ma cocktail fantastici
  
Basta vizi, si parte verso nord.

Come a casa

Un appartamento italiano, parquet sotto i piedi e una tazza natalizia in ceramica da riempire di tè o caffè ogni mattina. Spaghetti a mezzogiorno, un motorino e una bicicletta, la serie “Narcos” da guardare in settimana e una compagnia da frequentare nel week end. Dopo sette mesi di continui spostamenti, Shanghai e il nostro amico Lori hanno reso possibile questo fantastico arenarsi in città.  

  

La vista di Pudong
  
Skate-park a South Bound
  
Incantati da un maxi-schermo
  
  
Long Museum: 15 ROOMS – exhibition
  
Yuz Museum – RAIN ROOM
 

Ed ora, una piccola lista di ristoranti dove abbiamo gozzovigliato durante queste tre settimane.

 

MITHAI 195 An Fu Lu – ambiente molto bello con cucina a vista, cocktail fantasiosi e cibo tailandese!

 

D.O.C. 5 Dong Ping Lu – per una pizza cara come il fuoco (margherita 15€ altre pizze sui 20€) ma estremamente buona.  (Ah, bottiglia di acqua san pellegrino 750ml a 10€)

 

AZUL 378 Wukang Lu –  qui ci abbiamo fatto l’ultimo pranzo, con più o meno 15€ puoi scegliere due piatti e ti portano acqua e una bevanda a scelta. 

 

XIXI BISTROT 89 Wuyuan Lu – è un fusion italiano/cinese con un ambiente molto curato, luci soffuse e buona musica. Cocktail buoni e cibo da mangiare come tapas. Abbastanza caro (30€ a persona ma non proprio sazi) ma consigliato.

  

LA CABANE 1 Taojiang Lu – per scacciare la malinconia dell’autunno svizzero, fondue e raclette in questo angolo di Cina. La raclette poco più cara ma ti portano affettati, patate e insalata come contorno..Con la fondue solo pane e insalatina!

POR.CO 69 Yongkang Lu – microscopico portoghese che serve tapas squisite e a prezzi onesti. 

Shanghai Express 

È stata dura ma ce l’abbiamo fatta: più di 8500km, 70 auto, 3 camion, svariati carretti, 2 navette autostradali, un pullman e una macchina della polizia, ma abbiamo attraversato la Cina da ovest a est.

KHORGAS (confine kazako)  – YINING: 95Km

Un ragazzo ci nota (siamo alle prese con una decina di persone in mezzo alle strisce pedonali che chiedono selfie che manco a Brad Pitt e Angelina Jolie) e si offre di portarci a Yining. Prima però ci offre il pranzo: primi noodles veramente piccanti.

YINING-NALATI: 256Km

Un signore ci dà uno strappo fuori città, un ragazzo ci porta fino a Dumhmaza. Un attesa snervante di 3 ore e poi un altro ragazzo ci porta avanti di altri 80 km, lasciandoci ad un bivio. Due giovani padri con rispettivamente un bambino e una bambina vestita da fatina ci portano a destinazione. Durante il viaggio guardiamo nel caleidoscopio e giochiamo con altre cineserie.

NALATI-BAYAMBULAK: 57Km

Un signore magro e barbuto ci carica ma appena capisce che il servizio richiesto è gratuito ci scarica. Poco dopo una Toyota con una giovane coppia di Urumqui diretta proprio a Bayambulak ci carica e passiamo insieme la giornata nel parco nazionale.

Visti dall’alto del drone

Primo approccio con le bevande iperzuccherate. A caval donato non si guarda in bocca
BAYAMBULAK-KUCHA: 280Km

Appena usciti dal parco proviamo con la prima macchina e ci va bene! Papà, mamma selfie-dipendente e figlioletta mangia-kurut (delle palline dure di yogurt fermentato, una sorta di formaggio rancido tipico di tutta l’Asia centrale) ci portano a destinazione e ci offrono il pranzo. Noi offriamo parte del nostro parmigiano reggiano (fatto arrivare dall’Italia tramite un amico in Kazakistan) e loro ci danno quattro palline di kurut.

Parmigiano VS Kurut

  

KUCHA-TIANSHAN GRAND CANYON: 65Km

Decidiamo di ritornare a vedere il canyon visto dal finestrino qualche giorno prima e dapprima un signore barbuto ci porta per un chilometro su un carretto, poi una mamma e figlia in vacanza ci accompagnano alle porte della città, poi un furgoncino di lavoratori con aria condizionata a palla ci lascia a metà strada e poco dopo un altro ragazzo ci accompagna fino all’ingresso del parco. Easy.


  

TIANSHAN GRAND CANYON – LUNTAI: 186 Km

Due amici di Kashgar in vacanza – che si fermano per darci la possibilità di scattare foto panoramiche – ci riportano alle porte di Kucha. Poi senza bisogno di chiedere, un camionista nel vederci camminare su una rampa di ingresso dell’autostrada si ferma e insiste per pagare da mangiare.

  

LUNTAI – QUIEMO: 550Km

Due uomini e una donna, pare in viaggio di affari, ci portano per tutta la strada che attraversa da nord a sud il deserto di Taklamakan, ci offrono il pranzo (insegnandoci che l’aglio, che viene messo di solito sulla tavola insieme a soia e stuzzicadenti, si sbuccia e si sgranocchia) e dandoci esempio sui rumori da fare a tavola.

QUIEMO-RUOQIANG: 277Km

Svariati carretti fino alle porte della città, poi di seguito un signore, una coppia su un furgoncino che ci regala due meloni e infine una Passat nera con due giovani a bordo che con una media di 170km/H ci portano dritti in albergo dove ci pagano una notte e ci invitano a cena insieme ad una decina di persone.

Bananna

RUOQIANG – KHORLA: 433Km

Sempre i due ragazzi di cui sopra, dopo aver fatto qualche appuntamento di lavoro, ci scorrazzano fino a Khorla, riservandoci pranzo e rinfresco durante la giornata.

KHORLA – TURPAN: 409Km

h18.30: un signore ci carica alla pratica rampa autostradale raggiunta a fatica ma ci porta fuori strada e dobbiamo ricominciare tutto da capo.

h.19.30: una famigliola cinese composta da madre silenziosa figlio assonnato e papà brizzolato e con testa molto grande ci portano per un’oretta lungo l’autostrada. Una coppia ci tira su ma non vuole mollarci alla rampa di uscita, quindi ci porta fino alla stazione di pedaggio e poi torna indietro, in contromano in autostrada. Ottimo. Ah, ci regalano una bottiglia di vino e due mele. Due uomini ci caricano e dopo pochi metri ci chiedono il passaporto (pensiamo a poliziotti in borghese).Ci scaricano ad un controllo di polizia in autostrada. Ormai è notte, dopo un’ora e mezza e vari tentativi di allontanamento dal gruppo di poliziotti, finalmente un ragazzo ci offre un passaggio. Invece che portarci a Turpan, troppo fuori strada per lui, ci accordiamo (almeno così ci è parso) per essere lasciati ad un incrocio autostradale. Quando arriva il momento però lui non se la sente, ha paura di lasciarci di notte in una zona desolata e ci porta in un altra città dove, a causa di assenza di hotel per stranieri, passiamo la notte sul marciapiede. (grazie!)

Dopo essersi svegliati con una sensazione di pochezza indescrivibile, un carretto e una macchina ci aiutano ad uscire dalla città (una pagnotta in regalo). La famigliola che ci trova in autostrada ci lascia al centro turistico di Turpan e un minibus di turisti ci porta esattamente davanti al sito archeologico.


Una serie fortunata di carretti ci accompagna fino alla Grape Valley, dove finalmente mangiamo e mettiamo in fresco la bottiglia di vino perché vogliamo riuscire ad arrivare alle Flaming Mountains per mettere la tenda. Tutto reso possibile da “La cantante, l’amica e il signore strizzaocchio” che ci accompagnano un po’ scocciati ma appena arriviamo fanno delle foto entusiasti al panorama.


  

TURPAN – DUNHUANG: 870Km

Giro a vuoto: dopo avere impacchettato la tenda veniamo immediatente caricati da due uiguri ma un fraitendimento sulla direzione ci fa perdere un’ora (ci portano ad un’altra attrazione turistica). Insistiamo per farci riportare indietro all’ingresso autostrada, e gentilmente veniamo scaricati al punto di partenza.

Lui e lei sorridenti, sulla 50ina, ci portano per 80 km. Un sorridente chiacchierone ci porta per soli 10 km. Ci caricano due ragazzi, proviamo a scambiare due parole ma nulla; allora dormiamo un po’ per poi regalargli acqua, caffè e dei dolci al sesamo. È il turno del lentone, che pare abbia paura di superare gli 80km/H in autostrada ma sembra che una volta scaricati in una area di servizio torni indietro: grazie per aver deviato la tua strada! Il camionista e sua moglie che parla un po’ di inglese ci raccattano, ci danno un po’di uva e semini vari, ma vanno molto piano e abbiamo paura di non riuscire a raggiungere la meta così facciamo i fighi e ci facciamo lasciare giù. Dovremo aspettare più di un’ora sferzati dal pungente shacembau (tempesta di sabbia) prima che una macchina rossa ci raccatti e ci porti a destinazione deviando di 200 km la sua rotta, pagandoci per due notti una stanza d’albergo e aiutandoci ad ottenere i biglietti per le Mongao Caves. Era la prima volta che il nostro veterinario originario dello Xinjang caricava due autostoppisti e voleva festeggiare: “I soldi non sono importanti, è la sorpresa che vale di più: godetevela!”


  

Amore vero (in cambio di bucce di melone)
DUNHUANG-ZHANGYE:  591Km

Al volante la madre, dietro il padre che accudisce la piccola figlia (mai si sarebbe potuta vedere una scena simile in centro Asia): dall’uscita delle Mongao Caves ci portano all’ingresso autostrada. È il turno di una coppia giovane e pesantona che, dopo averci offerto un melone (e i meloni qui sono miele), ci porta fino a destinazione con tappa intermedia/pausa pranzo a Jiayuguan per vedere la propaggine più occidentale della Grande Muraglia. L’inglese che il ragazzo conosce gli serve per metterci in guardia sul fatto che da lì in poi ci sarebbe stato impossibile fare autostop, che per andare a Shanghai non dovevamo andare fino al sud della Cina e che per arrivare in Giappone non aveva senso passare per Mongolia e Russia ma che saremo dovuti partire via nave da Shangai!  Forse non aveva capito che non vogliamo fare a tutti i costi la strada più breve..

ZHANGYE – LABRANG: 740Km

h.07.30 (manco quando lavoravamo)

I primi 70 km li facciamo con una felice famiglia curiosa: sono tra i pochi che vogliono fare conversazione (argh ma proprio alle 7.30 di mattina?). I seguenti 180 km toccano ad un ragazzo che apprezza molto il nostro tabacco e ci lascia i suoi bigliettini da visita per chiamarlo, anche se parla solo cinese. 120km a bordo di un jeepone con due tizi silenziosi e antipatici (quello di fianco al guidatore continua a dire al guidatore di scaricarci quindi immaginatevi l’aria tesa all’interno dell’abitacolo). Ecco infatti che inaspettatamente ci abbandonano in autogrill, come nei migliori film. Fortunatamente quattro ragazzi simpatici su un van con tanto di copri sedile anatomico per i lombari ci portano fino a Lanzhou. Pausa pranzo infuocata e bordello per uscire dalla città e rimettersi in autostrada ma dopo neanche 5 minuti un furgoncino con un vecchietto musulmano orgoglioso della sua terra e della quantità di moschee che pullulano la vallata ci fa salire e ci lascia all’uscita dell’autostrada di Linxia. Qui due loschi soggetti che sin dall’inizio non ci piacciono insistono per portarci, guida orrenda e pausa in città a fare non si sa cosa. Quando ci lasciano chiedono soldi. Noi diciamo no con una certa decisione e ce ne andiamo. Saliamo su un taxi convinti da un monaco tibetano per gli ultimi 30km di montagna per evitare di rivederli.

  

LABRANG – LANGMUSI: 190Km

Dal monastero, per ritornare sulla strada principale all’ingresso dell’autostrada, non prendiamo un taxi – non dobbiamo scappare da nessuno – ma saltiamo a bordo di una macchina di narcolettici (per fortuna solo due su tre). L’uomo affianco al guidatore ce lo ricorderemo per il collo più grosso che abbiamo mai visto. La russata cinghialesca e ciondolante intramezzata da un’improbabile tentativo di lettura di messaggi sul cell completa il quadro. Da lì passiamo il casello indisturbati, freccia a destra ed entriamo in autostrada: la corsia d’immissione è il nostro punto d’attesa preferito. Una donna su un Land Rover nuovo di pacca ci chiede 3 euro per farci salire: la sfanculiamo. Poi è il turno di una coppia di Shanghai e di un’altra coppia del posto. Quest’ultima ci carica, entra in città per passare a prendere la madre della ragazza – non capiamo bene che stia succedendo – ma la molla poco dopo. Da lì percorriamo per un centinaio di kilometri un pascolo a 3500m dove gironzolano migliaia di yak. Per gli ultimi 30 km ci affidiamo ad una famiglia di Pechino (parlano tutti e tre inglese!!!) Selfoni a gogo.

   

In mezzo alla strada, contadini lanciano in aria ripetutamente il riso (o altro cereale) per pulirlo dalla cascara
   

Il signore che si è offerto di fare da guardiano alla nostra tenda per permetterci di fare una passeggiata senza il peso degli zaini

Il villaggio di Langmusi
LANGMUSI – SONGPAN: 241Km

Un tibetano ci dà un passaggio fino alla strada principale, dopodiché due macchine si fermano, ci sono otto ragazzi che vogliono che saliamo. All’inizio pensiamo che vogliano soldi, invece no. Offrono il pranzo e passiamo la serata con loro a bere birra giocando a mora cinese nel villaggio di Songpan.

  
  

SONGPAN – CHENGDU: 323Km

Piove, c’è un ingorgo di camion nell’unica via che attraversa il villaggio e di macchine ne passano pochissime. Iniziamo a camminare sfiduciosi, troviamo una tettoia sotto cui ripararci e poi due amici diretti in centro a Chengdu ci prendono a bordo. Dopo un pranzo e mille sigarette rifiutate arriviamo a destinazione.

CHENGDU – LESHAN: 137Km

Dopo aver quasi ceduto al prendere un treno, ci rimettiamo in strada, in una via trafficata che esce dalla città. Dopo neanche cinque minuti si ferma un ragazzo, solito SUV comodo pulito e spazioso. Saliamo e in un’ora siamo a Leshan.

LESHAN – ZIGONG: 114Km

Tentiamo di entrare in autostrada ma veniamo bloccati dal personale, che dapprima cerca di darci una mano a chiedere passaggio, dopo qualche tentativo fallito ci dice che in un paio d’ore sarebbe passata la navetta. Pranzo in mensa e passaggio al casello autostradale di Zigong offerto dalla società autostrade del Sichuan!

ZIGONG – MARE DI BAMBÙ : 143Km

Dopo due estenuanti ore per riuscire a trovare un modo per uscire dalla città e arrivare in autostrada (una strada sulla quale confidavamo era chiusa e il nostro istinto per gli autobus ci aveva lasciato a piedi), finalmente un ragazzo ci porta al nostro punto di partenza 5 km più in là -dopo aver consultato per buoni dieci minuti cartine, telefono e amica English-speaking-. Lì un poliziotto si avvicina, non capiamo se creerà problemi, ma tempo un minuto e due businessman fermano la macchina di traverso nella corsia del pedaggio e ci caricano; il poliziotto ci saluta. Ci lasciano a Yibin, altro panico di bus sbagliati e carretti per un’oretta e mezza, ma arriva una coppia simpatica e spigliata in BMW che non solo sta uscendo dal città ma va proprio nella nostra direzione. Ci offrono il pranzo in un ristorante giusto (solo specialità del luogo: ad un certo punto entra pure un uomo con una tartaruga viva appesa ad un amo…) ci danno i loro numeri di telefono in caso passassimo a trovarli nella loro città, ci accompagnano all’ingresso del parco e pagano il biglietto. Incredibile.

   

MARE DI BAMBÙ -GONGXIAN: 77Km

Dopo due giorni passati nel parco nazionale, un tassista si ferma e ci mettiamo un po’a capire che in quel momento è fuori servizio e che ci vuole dare solamente un passaggio. Ci lascia ad un bivio dove riusciamo a salire su una camionetta che ci porta a destinazione. Da qui visiteremo le bare sospese di Luobiao.

GONGXIAN – CHONGCHIN: 323Km

Un ragazzo che torna a casa dall’università ci accompagna su una Yaris gialla alle porte della città dove un furgoncino con due lavoratori ci scorterà fino a Yibin. Vani tentativi per un quarto d’ora nel traffico fino a quando due tipi in MASERATI ci prendono in simpatia e ci portano ad un punto preciso quanto casualmente scelto sulla mappa e in direzione dell’autostrada (10km). Da lì un ragazzo e un signore contenti di vederci ci portano, dopo 40 km di provinciale, all’ingresso dell’autostrada della città successiva dove una coppia ci carica e ci porta fino a Luzhou (o meglio, come richiesto, ci lascia in autostrada prima dell’uscita di Luzhou). Attendiamo mezz’ora, macchine pochissime, un paio di tizi che camminano anche loro sull’autostrada -cosa ci fanno non si sa- ci dicono che siamo nel posto sbagliato. Sicuramente non siamo nel posto migliore dove ci sia capitato di fare autostop. In questi casi solitamente conviene iniziare a camminare in cerca di vibrazioni migliori e finalmente un ragazzo ci porta dritti fino a Chongqing, ad una fermata della metro abbastanza centrale.

Facce da Maserati

CHONGQING – ZANGJIAJIE: 602Km

Un furgoncino pieno di scatoloni ci dà uno strappo per qualche chilometro, poi la signora coi capelli rossi e il vestito verde pistacchio ci carica, suo marito alla guida. Colpo di scena: ci fermiamo in autogrill per una sosta e loro ci trovano un ragazzo che sta andando molto più in là di loro. Salutiamo e spostiamo gli zaini da un baule all’altro. Lui ascolta musica melodica cinese, e lo fa per quattro ore, cantando e muovendo la testa e le mani. Ci facciamo mollare in autostrada, ma l’unico che si ferma è un poliziotto, che ci carica in macchina e una volta arrivati al casello, mentre noi siamo in macchina con il divieto di scendere, lui chiede a tutti i conducenti che si fermano per pagare in che direzione vanno. I minuti passano ma nessuno ci carica. Lui non si arrende e ferma un bus, dice al conducente di portarci, e a gratis. Geniale.

  

ZHANGJIAJIE-WUHAN: 678Km

Una macchina con tre ragazzi si ferma, provano a chiederci soldi ma alla fine ci caricano. Non una parola, la musica zarra da discoteca rimbomba nell’abitacolo. Poi il guidatore dice che ha sonno, ci fermiamo in una piazzola e lo stupiamo con il fornelletto. Santo Nescafe scioglie il ghiaccio, ma non fa il suo dovere. Ha ancora sonno, quindi Marco alla guida per un’oretta e poi ci facciamo lasciare all’uscita di Changsha. Dopo più di un’ora in mezzo agli svincoli autostradali un camion si ferma, senza troppe domande ci fa salire. La nostra destinazione sarebbe Nanshan, la sua è Wuhan. Piove, sono le 16.30. Cambiamo direzione! Andiamo a Wuhan! Peccato che lui si sbarazza di noi in un’area di servizio, dove per fortuna ci fanno mettere la tenda. La notte in autogrill ci mancava!

  

WUHAN – ZHENZE: 746Km

Dopo aver fatto colazione e usufruito per bene dei bagni della stazione di servizio, ci incamminiamo lungo l’autostrada. Si ferma una ragazzo alla guida di un camioncino e ci porta per un po’ di chilometri fino al bivio successivo. Siamo di nuovo speranzosi sulla corsia di emergenza ma i due poliziotti scendono dalla macchina che avevamo fatto finta di non vedere ci vengono incontro: se ci portano fuori dobbiamo cominciare da capo! Ma ecco che quando rassegnati stiamo per incamminarci verso la volante, un centinaio di metri più avanti si ferma provvidenzialmente un ragazzo e ci fa segno di raggiungerlo: non solo ci salva dai tentacoli delle forze dell’ordine ma ci invita ad un pranzo in famiglia in una sorta di agriturismo! Per la prima volta da quando siamo in Cina, ci porta a vedere la casa dei suoi genitori – ormai lui vive in città – immersa tra risaie e campi di cotone (quello con cui fanno le lenzuola). Ci spiega che ora la campagna sembra un po’ disordinata a causa di alberi e sterpaglie, ma fino a 20 anni fa oltre alle coltivazioni non c’era nulla: tutto quello che non serviva per mangiare veniva tagliato per scaldarsi. Ci riporta all’entrata dell’autostrada e saliamo in macchina con due ragazzi che ci portano per 50 km. Ultima botta di fortuna della giornata, e veniamo raccattati da un signore sulla sessantina orgoglioso di dimostrarne di meno – che ci porta rischiando diversi colpi di sonno a Zhanze, a soli 100 km da Shanghai!!
   

ZHENZE – SHANGHAI: 115Km

Usciamo dall’albergo con ormai un solo cartello da mostrare: Shanghai. Mai avremmo pensato che per 100 chilometri avremmo dovuto cambiare sei conducenti. Un furgoncino, tre macchine, un camion che ci lascia all’ingresso della città e infine un ragazzo che sta andando in aeroporto a prendere la fidanzata, ma essendo in netto anticipo ci accompagna fin sotto casa del nostro amico Lori!!!!!

THE END

Si scrive Zhangjiajie si legge Giangiaiè

 

Più di trenta milioni di visitatori all’anno e più di un miliardo e mezzo di fatturato, un ascensore in vetro che sale sul fianco di una guglia rocciosa per 326 metri, due funivie, strade asfaltate e collegamenti con autobus ogni cinque minuti, sentieri ad anello e scalinate da migliaia di gradini in pietra. Tutto all’interno di un area di 264km quadrati altamente recintata ( nel senso che lungo tutto il perimetro corre una barricata insormontabile) dove sorgono tre diversi villaggi i cui abitanti, appartenenti a tre minoranze etniche, sono stati riconvertiti in driver, bigliettai e soprattutto venditori di bibite, cibo e souvenir. Benvenuti a Wulingyuan, più conosciuto come Zhangjiajie, Unesco WorldHeritage Site: la punta di diamante dei parchi nazionali cinesi, fonte di ispirazione del Villaggio di Pandora nel film Avatar.

      

Xianren Natural Bridge
    

Paghiamo il salato biglietto di 248yuan (più o meno 35€ a testa, che non include però funivie o ascensori) e questa volta ci portiamo lo zaino – e la tenda – . Per muoversi all’interno di un parco come questo diventa VITALE evitare il più possibile le attrazioni maggiormente turistiche, non tanto per un’attitudine “faccio-l’alternativo” ma per non doversi trovare a sgomitare letteralmente in mezzo alla massa pressante del turismo locale (e per fortuna non siamo in alta stagione).

   
   

Metodo creativo di smaltimento rifiuti
  
Behind the Scenic Spot
 
Eccoci quindi ad affrontare infinite scalinate e cercare sulla mappa fumettistica -fortunatamente regalataci dall’hotel dove abbiamo passato la notte precedente- tutti gli spot non collegati ad altri tramite qualche infrastruttura. 

   

 
È quasi sera e scoviamo il nostro sentiero: 600 scalini in discesa e almeno mezz’ora di cammino per raggiungere nessun vero “highlight” e nessuna funivia per tornare indietro! Alle cinque iniziamo a percorrerlo e una coppia sudata e ansimante che risale la scalinata ci mette in guardia: troppo lungo e troppa fatica, fatelo domani mattina! 

Siamo nel posto giusto.

  

Solo tre turisti si sono attardati, ma poco dopo rimaniamo solo noi e la nostra tenda: scenic spot conquistato. Il chiassoso silenzio della giungla, cena a lume di torcia frontale e buonanotte!

  

   

Il tipico abbigliamento per l’avventura nel parco

Nella pancia del Sichuan

Eccoci nella Cina che piu o meno ci aspettavamo. Una Cina che a stento resiste alla grande e inarrestabile voglia di nuovo che si dirama capillarmente verso gli angoli più remoti del paese correndo su una sempre più fitta ed efficiente rete stradale. 

   
 

Facciamo tappa a Zigong, una sonnolenta cittadina nel sud est del Sichuan e sulla buona onda del relax – raggiunta un po’a fatica – passiamo un pomeriggio intero (ovviamente piove) a sorseggiare infusi al gelsomino e crisantemo nella vecchia e decadente sala da tè appollaiata sulla sponda del fiume, dove ancora gironzolano i pulitori di orecchie armati di stecchini e pezzetti di cotone. 

Il vecchio tempio Wangye, che ospita al suo interno la sala da tè

  

A parte un museo sull’estrazione del sale e qualche palazzo d’epoca fatiscente – che probabilmente presto verrà abbattuto e di cui nessuno se ne cura – la città in se non ha molto da offrire ma il semplice camminare per le vie del centro, per il parco e lungo il fiume ci affascina. Qui si respira un mix di tranquillità e malinconia, di vecchio e di nuovo, oltre all’immancabile “hot pot” (una sorta di boirguignonne dove in un unto brodo di peperoncini si cucinano a piacere carne tofu funghi e verdure) i cui olii esausti delle cucine probabilmente finiscono tutti nel fiume. Questo non toglie che cibarsi di street food è stata la cosa più papillarmente divertente.

   

Verdure crude, tofu e funghi conditi sul momento . Piccantissimi
     
 
La famigerata hot pot
 

Il giorno dopo, avendo ormai preso la decisione di non raggiungere la regione dello Yunnan, proseguiamo verso est. Non sappiamo esattamente dove andare ma poi all’ultimo salta fuori un jolly: 

il Mare di Bambù.  

Memori delle vecchie esperienze nei parchi nazionali cinesi, questo è stato una bella sorpresa.

 

Vecchie ovovie colorate ti fanno scoprie verdi e oscillanti onde dall’alto mentre sentieri poco battuti ti portano nel mezzo di questa fitta foresta sottile e ordinata da dove è possibile ammirare cascate, templi e attraversare laghetti stagnanti con il servizio zattera messo in piedi dai locali che abitano nei villaggi all’interno del parco. Ancora un po’ di anarchia e avventura finalmente possibili.

   
   
   
     
   
    

Terrazza per aperitivo lungo un percorso abbandonato
 
 

Nonostante fosse un po’ complicato da raggiungere, abbiamo deviato di non pochi chilometri verso sud per arrivare a Luobiao, un lembo di terra largo un massimo di cento metri, una sorta di valle coperta di risaie e stretta tra due dritte falesie dove fino a 1000 anni fa venivano incastrate – finché non cadevano – bare: un cimitero sospeso, un’usanza della tribù Bo, che ancora oggi non si sa il perché di questa scelta. Boh!   

 

Le famose bare sospese
    
  

I contadini lavorano scalzi con il fango a mezza coscia per creare passaggi lungo le risaie, anatre e oche gironzolano in squadre poi all’improvviso una mitragliata di petardi poi un’altra e via così per dieci minuti: la nuvola di fumo densa e la musica da discoteca a palla stonano come le nuove case in cemento e piastrelle, ma abbiamo l’impressione che questa sia la vera anima agrodolce della Cina. 

 

Leshan

The Giant Buddha

Abbandoniamo Chengdu in un giorno di pioggia. Lo zaino e il caldo umido incollano il kway alla pelle e i piedi bagnati scivolano nelle ciabatte. Non è la condizione ottimale per fare autostop, continuiamo a ripetercelo.

Siamo sulla metropolitana, linea 1: attraversiamo come talpe da nord a sud la città e guardiamo scorrere le fermate una ad una. Nijiaqiao vuol dire autostop, Tongzilin stazione dei treni. 

Nijiaqiao: un foglio A3 con il nome della città, un A4 con una spiegazione in cinese e in men che non si dica siamo seduti comodi comodi sull’auto che ci porterà a Leshan, la nostra destinazione. L’host di couchsurfing, che dal profilo pareva uno “giusto”, ci intrattiene – insieme alla mogliettina – con un gioco a carte in cui, chi perde, per punizione deve bere acqua e sale. 

Dimentichi della serata in puro stile Asilo Mariuccia l’indomani noleggiamo un tandem e ce la scialiamo in giro per la città tra un parco, un intermezzo musicale con tanto di messa in scena teatrale, un tour in battello per vedere il Buddha gigante, un taglio di capelli e tre ore a piedi per riportare il tandem caduto letteralmente a pezzi ovviamente lontanissimo dal negozio di biciclette. 

  
  
   

     

Nirvana

 
Finalmente abbiamo fatto pace con la Cina. Ci è voluto un po’, ma abbiamo capito cosa davvero questo paese ha da offrirci e, proprio come gli enormi Buddha dormienti, ci siamo rilassati nell’assenza di desideri.

Le montagne colorate di Zanghye, le pozze turchesi di Huanglong che risalgono la vallata come un’enorme cascata di calcare in mezzo alla foresta, le enormi dune ai margini di Dunhuang e le annesse grotte buddhiste, sarebbero potenzialmente dei posti magici se non fossero gestite come parchi divertimento e con percorsi ben precisi, di divertimento: strade asfaltate e passerelle in legno sono l’unico modo per immergersi nella natura, raggiungere lo “scenic-spot” e farsi un bel selfie, il fiore all’occhiello della gita e il vero motivo che smuove le masse. 

Zhangye – Danxia National Park        

 

Huang Long  – National Park  

    
   
    
   

Dunhuang –Mingsha Shan sand mountains 

Cammelli numerati in attesa di portare i turisti sulla cima della duna
 
Accantonata l’idea di stare a contatto con la natura, vicini ormai al confine tra le regioni di Gansu e di Qingai , abbiamo camminato lungo la kora – un percorso di tre km intorno al monastero di Labrang – insieme ai pellegrini devoti che portavano burro di yak come offerta nei templi lungo il cammino. Peccato che in uno di questi, nel bel mezzo di luce soffusa, tuniche bordeaux e mantra la suoneria di un telefono abbia spezzato il silenzio.. e proprio il monaco scalzo che stava maneggiando con tutte quelle candeline di burro, ha frugato in qualche anfratto della tunica e ha risposto urlando nel suo iPhone 6 (PLUS).

     
 Dopo aver pagato il biglietto abbiamo avuto accesso all’effettivo monastero di Labrang dove abbiamo assistito ad una grande celebrazione ma l’impressione – sebben superficiale – non è cambiata: mentre alcuni monaci con un copricapo pappagallesco e le spalle ingigantite da chissà che armatura ripetevano mantra passeggiando tra file di monaci seduti per terra, era ben visibile l’indaffararsi di alcuni di loro a dividersi le offerte e contare mazzette.

    

    

Ora siamo a Chengdu, una città da 10 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali giovani, trafficata ma estremamente rilassata, con una scena di locali, sale da tè e club decisamente vivace e finalmente – soprattutto dopo mesi a spiedini e zuppe nel centro Asia – qui possiamo mangiare ad ogni pasto qualcosa di diverso! Il Sichuan è infatti conosciuto come la capitale gastronomica della Cina e sta mantenendo fede alla sua fama. 

    

Le giornate scorrono lente tra parchi con annesse sale da tè, spazi aristofreak all’interno di ristorantini vegetariani e locali al dodicesimo e ultimo piano dove si serve birra e dove tentiamo di recuperare il ritardo sul blog, ricercare informazioni per il visto di transito russo e possibili lavori in Giappone. 

TAG . Poly center, 21esimo piano

Qui il verde non manca, l’inquinamento non così pesante, la città vive nei suoi molteplici quartieri ma anche qui c’è chi si lamenta: gli studenti vogliono che gli anziani che si trovano a ballare ogni sera sotto casa la finiscano di fare casino!

   

Bayanbulak 

   

La Cina sta mettendo a dura prova la nostra capacità di adattamento: nessuno parla inglese, gran parte degli hotel non accettano stranieri e ogni volta è una battaglia trovarne uno decente ad un prezzo ragionevole – a Kucha addirittura siamo stati scortati da un poliziotto – e quando facciamo autostop troppo vicini ai centri abitati veniamo circondati da capannelli di persone curiose che si fermano a fissarci da vicino senza il minimo senso di pudore impedendo ai nostri potenziali “drivers” di vederci. 

Nonostante tutto fare autostop qui sembra più facile che in Asia Centrale e con una serie di passaggi fortunati arriviamo alla riserva naturale di Bayambulak, una delle praterie più grandi della Cina – e grande qui significa enorme – e dove non saremmo mai arrivati se non fosse stato per Antonio, un bergamasco conosciuto ancora in Kirghizistan che di Bayambulak è stato testimonial di un video promozionale. 

(Nb: sembra che essere occidentali apra le porte per partecipare in spot e film… vedremo)
Kilometri e kilometri di recinzioni, una strada ad anello percorribile solo con un pullman a pagamento carico di turisti cinesi urlanti, free camping vietato (troppo pericoloso a detta loro), un laghetto artificiale dove galleggiano insieme a quattro cigni delle bottiglie di plastica e pioggia fitta e densa: non era proprio quello che ci aspettavamo! 

Non ci lasciamo scoraggiare e dopo aver aspettato due ore sotto una tettoia che smettesse di piovere, piantiamo i picchetti nel fango dello spazio dedicato. Dopo una decina di minuti e altrettanti decilitri d’acqua caduti dal cielo, cediamo -fortunatamente – all’invito dei custodi mongoli a spostare la tenda all’interno di uno stabile nuovo ma già abbandonato e ci sembra di tornare a scuola e rivivere una occupazione. 

  

   
Il risveglio è energia pura: il sole del mattino dall’interno dell’edificio non sembra far preludere ad una gran giornata ma appena mettiamo il naso fuori, la luce e il riflesso sulla neve – si, la neve, caduta nella notte di ferragosto – ci catapultano in una favola. Senza colazione e ancora intorpiditi saliamo di corsa sul crinale della collina e lo spettacolo che ci si apre davanti agli occhi ci e lo scricchiolare della neve sotto i piedi ci fa sentire come bambini . 

    
   

   

 

 Decidiamo sia giunto il momento di rimetterci in marcia, destinazione Tian-é-hú il vero lago dei cigni, che non era la pozza artificiale vista il giorno prima.
Di nuovo restiamo incantati e pensiamo a come possa essere quando, in primavera, si riempie di cigni che si fermano qui lungo il loro migrare.  

   
Questa sorgente abbondante – questo vuol dire bayanbulak in mongolo- ci resterà per sempre impressa e speriamo un giorno di tornarci.