Non solo sushi e geishe (parte seconda)

Impossibile raccontare per filo e per segno tutto quello che abbiamo vissuto percorrendo i 1400 chilometri che separano Tokyo da Kagoshima, ma ci siamo sentiti in un vortice fortunato. Spostandoci in autostop e campeggiando in qualsiasi fazzoletto d’erba ci si presentasse innanzi – e avendo avuto di conseguenza poche occasioni per impigrirci – abbiamo girovagato con e senza una meta precisa per più di un mese. 

  

Guidati da amici di amici o da persone appena conosciute abbiamo avuto modo di pedalare in una primaverile e magnifica Kyoto, di assistere al festival del fuoco a Nara, di dormire in una stanza tradizionale a casa di una famiglia che ci ha letteralmente raccattato sulla strada e di essere accompagnati dalla stessa  l’indomani sul monte Koyasan (uno dei luoghi più sacri del buddismo giapponese), di perderci nei quartieri più autentici di Osaka, di unirci ad escursioni intorno alla caldera del vulcano Aso e di ammirare salamandre e cavallucci marini con una famiglia prima di scalare il perfetto e conico vulcano Kaimondake.

Kyoto, pagoda del Senso-ji
 
Kyoto, per le vie del centro
     
Kyoto. Prugni in fiore all’interno del giardino del tempio Kitano Tenman-gu
    
  
Prove di una danza tradizionale eseguite al ritmo di battito di mani
  
Tetsuya, nella memorabile serata tra le isakaye di Kyoto
  
Foglie di cavolo con soia e sperma di pesce fritto
  
Kyoto, la foresta di bambù di Arashiyama
      

Nara, tempio buddista Todai-ji
   
Il parco pubblico di Nara (nostra dimora per tre notti), abitato da cervi tutt’altro che timidi.
  
Otaimatsu: questo il nome dell’evento che si tiene sui balconi del Nigatsu-do (un edificio facente parte del tempio Todai-ji). Appena dopo il tramonto vengono portate in sequenza da una parte all’altra del balcone una decina di enormi torce che bruciando provocano una pioggia di braci e zampilli la cui visione, secondo la credenza, porterebbe fortuna per il nuovo anno.
        
Sul balcone del Nigatsu-do, aperto al pubblico dopo aver spento le torce
 

Okunoin, il più grande cimitero di tutto il Giappone, nel complesso monastico sul monte Koyasan
    

Osaka
   
Osaka, con Rie in un piccolo bar che colleziona e appende i reggiseni delle avventrici
   

Il castello di Himeji
Il ginko millenario di Aso
Il vulcano Aso

Il monte Komezuka
   

     
          

Santuario Kamafuta (letteralmente”coperchio di pentola”). Secondo la tradizione è di buon auspicio riuscire a camminare con un coperchio in equilibrio sul capo dal Tori (tipico ingresso dei tempi scintoisti) al Jinjia (il tempio vero e proprio)
    
Kaimondake (924 mt). Chiamato il “piccolo Fuji” per la perfetta forma conica.
   

La vista dalla cima del Kaimondake
 
 

Capolinea

Partenza alla stazione di Ulan-Ude
Fortunatamente siamo saliti preparati. Tra di noi e le tre grasse signore del nostro scompartimento di terza classe è stata una guerra ad armi pari. Sulla transiberiana infatti si mangia. La vita è cullata dallo sferragliare sui binari e c’è ben poco altro da fare, a parte giocare a carte (loro), backgamon (noi), scrivere o leggere. 

  

Abbiamo passato tre notti e tre lunghi giorni relegati ad un letto nel posto corridoio, senza un minimo di privacy e spostando i piedi o le spalle per l’andirivieni continuo del mezzo vagone di militari odorosi (nel senso pieni di odori) che facevano spola verso la terra di mezzo dove, previa la corruzione della responsabile del vagone, era possibile fumare. Sì perché ogni carrozza ha una sorta di hostess, che nulla ha che vedere con l’immaginario comune: senza sorrisi e corpo longilineo, il mastino supervisiona sulla pulizia e sull’amministrazione di posti e coperte e, probabilmente per arrotondare, obbliga all’acquisto di qualche gadget – con un piccolo sovrapprezzo – chiunque necessiti di un favore extra. Se a tutti i militari sono state vendute delle tazze per poter fumare una sigaretta, a noi è toccato un pupazzetto per poter sfruttare un angolino del frigorifero e conservare uova sode, formaggio e cetrioli.

   
 

Le brevi soste durante le  quali è possibile scendere dal treno servono per rimpinguare le scorte o sgranchirsi le gambe. Sui binari è facile trovare venditori ambulanti di pesce essiccato o uova di pesce, oppure panzerotti fritti. 

    
 

L’alternarsi di generazioni che per motivi a noi sconosciuti viaggiano da un capo all’altro del paese non può far altro che portarci a ricamare storie di fantasia. E allora ecco che il vecchio sommergibilista senza una gamba ma con stampelle di legno e spalle larghe (che senza l’aiuto di nessuno era salito con due valigie enormi e le aveva spinte con l’unica gamba stando in bilico sulle ascelle) racconta le sue avventure affascinando i giovani e rievocando in un’altra anziana coppia il ricordo di anni passati. La ragazza che piangeva baciando lasciva il suo amore sul binario ora sorride e ha una tresca con uno dei militari che probabilmente l’aspettava già a bordo. I poliziotti saliti per un controllo random si soffermano a guardare la barba di Marco e farfugliano “islamisky”, ma le tre signore sempre più grasse – che da un dettaglio di una scatola di cioccolatini arzigogoliamo che siano di ritorno da una vacanza in Kazakistan – li scacciano dicendo che siamo turisti e che siamo italiani. Come se fosse un sottofondo in nostro onore, aleggiano a ritmo cadenzato le canzoni di Totò Cutugno. E questa non è fantasia, ma lo stereo del mastino.

Fuori dal finestrino regnava la patina biancastra del gelo e le fumate vaporose di ciminiere e caminetti segnalavano un’immobile presenza umana, ma sono state proprio la monotonia del paesaggio e il rumore ipnotico delle rotaie a fare da cornice alla vita nel convoglio, che è stata la vera essenza di questo viaggio. 
Video sulla transiberiana 

Quando arriviamo a Vladivostok è ancora notte, aspettiamo le prime luci dell’alba con la testa ciondolante sulle poltroncine della stazione. L’indomani ci aspetta il traghetto che ci staccherà dalla terraferma. Lasceremo il continente euroasiatico dopo nove lunghi mesi. 

   
    

PILLOLE Cina

I bambini non usano il pannolino ma hanno un pratico taglio sui pantaloni che segue la riga del sedere

Gli uomini tirano su la maglietta mostrando la pancia 

Per dire “no” si tiene il gomito vicino al costato e si agita la mano, come un “ciao”, ma l’effetto è “non ne voglio sapere” (solitamente accompagnato da un “me-yooooo”)

Alcune stanze di alberghi vengono utilizzate per bische clandestine 

 

Per classificare la qualità di ristoranti e alberghi vengono apposti alla parete degli “smile” che ti fanno capire subito dove sei capitato

I guard-rail sono verde acqua 

È di buon auspicio legare all’auto (o al camion) dei nastri rossi 
Nel dubbio, suona il clacson 

Piace molto ricoprire il sedile dell’auto o la sella dello scooter

  

La maggior parte dei motorini sono elettrici e senza targa. Quindi guida selvaggia 

Se quando parlano cinese non capisci, ti scriveranno su un foglio quello che stanno dicendo (in cinese) 

Si beve acqua bollente 

Nei ristoranti si sceglie tra birra fredda o a temperatura ambiente

Quando si fa un brindisi, è buona educazione toccare il bicchiere altrui badando di tenere il bordo del proprio bicchiere al di sotto dell’altro, in segno di rispetto

Il resto viene dato con due mani

Prima di iniziare a lavorare, ai dipendenti viene fatto un discorso di team-building  

 

I bagni pubblici non sono a pagamento, anche se in alcuni si condivide “il momento” senza pudore: tante turche una affianco all’altra. 
La carta igienica è da avere con sè

Il tappo del lavandino non è estraibile ma “rotante”, come una moneta che tappa il buco se messa in orizzontale ma che fa scorrere l’acqua se è in verticale

Se vuoi prendere una pausa dalle regole del galateo a tavola -e non solo- sei nel posto giusto 

Sentiti libero di sputare 

Di fianco ad ogni tavolo nel ristorante, sui bus è un po’ ovunque ci sono secchi della spazzatura, usati spesso come sputacchiere 

 

Nei ristoranti il tavolo è rotondo, si ordina per tutti e il cibo viene messo al centro e condiviso

  

Tutti hanno uno Smart Phone e il selfie è all’ordine del giorno

Difficilmente verrai invitato a casa perché potresti portare energie negative

Verso sera donne e uomini di un po’ tutte le età svolgono a loro modo un po’ di attività fisica, in compagnia o da soli  

    
 

Nirvana

 
Finalmente abbiamo fatto pace con la Cina. Ci è voluto un po’, ma abbiamo capito cosa davvero questo paese ha da offrirci e, proprio come gli enormi Buddha dormienti, ci siamo rilassati nell’assenza di desideri.

Le montagne colorate di Zanghye, le pozze turchesi di Huanglong che risalgono la vallata come un’enorme cascata di calcare in mezzo alla foresta, le enormi dune ai margini di Dunhuang e le annesse grotte buddhiste, sarebbero potenzialmente dei posti magici se non fossero gestite come parchi divertimento e con percorsi ben precisi, di divertimento: strade asfaltate e passerelle in legno sono l’unico modo per immergersi nella natura, raggiungere lo “scenic-spot” e farsi un bel selfie, il fiore all’occhiello della gita e il vero motivo che smuove le masse. 

Zhangye – Danxia National Park        

 

Huang Long  – National Park  

    
   
    
   

Dunhuang –Mingsha Shan sand mountains 

Cammelli numerati in attesa di portare i turisti sulla cima della duna
 
Accantonata l’idea di stare a contatto con la natura, vicini ormai al confine tra le regioni di Gansu e di Qingai , abbiamo camminato lungo la kora – un percorso di tre km intorno al monastero di Labrang – insieme ai pellegrini devoti che portavano burro di yak come offerta nei templi lungo il cammino. Peccato che in uno di questi, nel bel mezzo di luce soffusa, tuniche bordeaux e mantra la suoneria di un telefono abbia spezzato il silenzio.. e proprio il monaco scalzo che stava maneggiando con tutte quelle candeline di burro, ha frugato in qualche anfratto della tunica e ha risposto urlando nel suo iPhone 6 (PLUS).

     
 Dopo aver pagato il biglietto abbiamo avuto accesso all’effettivo monastero di Labrang dove abbiamo assistito ad una grande celebrazione ma l’impressione – sebben superficiale – non è cambiata: mentre alcuni monaci con un copricapo pappagallesco e le spalle ingigantite da chissà che armatura ripetevano mantra passeggiando tra file di monaci seduti per terra, era ben visibile l’indaffararsi di alcuni di loro a dividersi le offerte e contare mazzette.

    

    

Ora siamo a Chengdu, una città da 10 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali giovani, trafficata ma estremamente rilassata, con una scena di locali, sale da tè e club decisamente vivace e finalmente – soprattutto dopo mesi a spiedini e zuppe nel centro Asia – qui possiamo mangiare ad ogni pasto qualcosa di diverso! Il Sichuan è infatti conosciuto come la capitale gastronomica della Cina e sta mantenendo fede alla sua fama. 

    

Le giornate scorrono lente tra parchi con annesse sale da tè, spazi aristofreak all’interno di ristorantini vegetariani e locali al dodicesimo e ultimo piano dove si serve birra e dove tentiamo di recuperare il ritardo sul blog, ricercare informazioni per il visto di transito russo e possibili lavori in Giappone. 

TAG . Poly center, 21esimo piano

Qui il verde non manca, l’inquinamento non così pesante, la città vive nei suoi molteplici quartieri ma anche qui c’è chi si lamenta: gli studenti vogliono che gli anziani che si trovano a ballare ogni sera sotto casa la finiscano di fare casino!

   

Con le ali

Altri 270km di autostop singhiozzante e siamo a Kyzart, piccolo villaggio sull’unica strada ufficiale che collega l’est con l’ovest e il sud del paese senza passare dalla capitale – una strada di circa 150km per lo più sterrati -. Contrattiamo per avere dei cavalli per i giorni seguenti e poter raggiungere il Song Kul, un lago alpino a 3000 mt che incarna l’essenza del Kirghizistan e ci gustiamo quella che probabilmente ricorderemo come la miglior cena khirkhisa: “manti” fatti in casa (ravioli con ripieno di carne) e “osh” fatto con amore (riso saltato con carote e qualche pezzo di carne), pane e marmellata di albicocche fatti in casa. Durante la notte un topo sgranocchierà il nostro pane, ma questa è un’altra storia. 

   

 

 

Dopo cinque ore di trottellamento su delle selle dure come quelle di un cosacco finalmente eccolo: a perdita d’occhio si riversano in questo specchio blu lisce e morbide valli coperte da un lenzuolo verde e le ombre veloci delle nuvole lo plasmano cambiandone i profili.

    

     

Ci svegliamo sotto il ticchettio leggero della pioggia ma i nostri cavalli non sono più stanchi e hanno voglia di galoppare. Ci lasciamo trasportare completamente inebriati dalla sensazione di libertà che non troppo segretamente proviamo urlando “chuuu” : liberi tra cavalli liberi ci sentiamo tutt’uno forti, agili e in armonia. 

     
 

Imbukhati 

 

Musica. Tamburi. Trombe. Per le vie del centro di Bukhara questo ritmo è ammaliante come il canto delle sirene, e noi lo seguiamo. 

Tre bambini vestiti in velluto sui trampoli, persone che sorreggono dei cuscini ricamati, gente vestita a festa e noi corrucciati che cerchiamo di capire a cosa stiamo assistendo. 

“Wedding party!” Dice la signora vestita in azzurro, ma la figlia la corregge: “Engagement party!”

   


In men che non si dica veniamo invitati ad entrare nel cortile interno dell’hotel e a sederci ad uno dei tavoli imbanditi mentre un centinaio di occhi e altrettanti denti d’oro seguono attentamente ogni nostra mossa. 

 

Al nostro tavolo il ghiaccio viene subito rotto dal signore pelato che riempie le ciotoline di vodka e dalla signora che non sapendo l’inglese continua a dirci “I love you”. 

Spasiba babüska, anche noi ti amiamo già, allora via con i festeggiamenti in onore degli sposi!! 

“Ma dove sono? … Ah, lo sposo non c’è.  E la sposa è di sopra ma non scende”…. “Questa è una festa per parenti e amici, è una delle tante che si terranno fino alla data effettiva delle nozze!” 

  

Il tavolo di uomini alla nostra destra rimane indifferente alla musica (ancora per poco) mentre tutte le donne tra una portata e l’altra ballano in mezzo al cortile. Per non essere da meno facciamo come loro, Anna in pista e Marco “nasdarovia” a più non posso. 

Tutto il resto è pura delirante poesia.

   

Le donne mentre ballano danno delle banconote alla ballerina, appena gli uomini si alzeranno daranno banconote a tutte le donne (totale guadagnato 7000 som, piu o meno 1,50€)
  

La ballerina della festa
 

   

Ah, ecco alcune foto della città!

Minareto Kalon (1127d.c) e sullo sfondo la cupola azzurra della Medressa di Mir-i-Arab
Medressa di Nadir Divambegi (1622d.c)
Mausoleo di Ismail Samani (905d.c.)