Le previsioni meteo non sono delle migliori ma dopo qualche tentennamento decidiamo di partire. Forse saranno le ultime montagne selvagge e solitarie che vedremo (per un po’) e non vogliamo rinunciare a questo lusso. La spesa pre-trekking ormai ci riesce bene e veloce: tre pagnotte, pomodori, cetrioli, patate e cipolle, marmellata, due sneakers e due “helva” , quattro confezioni di noodels istantanei – come la sete che ti fanno venire – e due bottiglie di acqua.
La “debole pioggia” delle previsioni meteo non era che un subdolo eufemismo e appena iniziamo a camminare ci ritroviamo sotto una valanga d’acqua, con i peli delle braccia rizzati dai fulmini e con rivoli di acqua che ci scorrono sulla fronte, sul naso, ci dissetano mentre annaspiamo e le scarpe diventano ferri da stiro. Ma non siamo soli. Insieme ad altri malcapitati riusciamo a raggiungere Kurgak-tor dove c’è una capanna di legno (non immaginatevi un rifugio svizzero) e gocciolanti e infreddoliti ci strizziamo e denudiamo per metterci i vestiti asciutti. Non abbiamo foto perché un iPhone allagato in una tasca ha smesso di collaborare e ci siamo ben guardati dal tirare fuori la macchina fotografica….

Un timido sole fa capolino al mattino seguente e fino a mezzogiorno ogni ramo o sasso del campo viene preso per uno stendino. Raggiungiamo il lago Ala-Kul dopo due ore di fatica vera – con pausa tè a metà strada offerto da un gruppo di siberiani altrettanto affaccendati nelle pratiche di asciugatura – e il panorama è davvero mozzafiato.
Dopo una fredda notte il risveglio è coperto di brina ma il cielo finalmente è terso e dal passo Ala-Kul (3860 mt) ridiscendiamo fino alla Arashan Valley tra ampi pascoli coperti di stelle alpine e genziane.
Quale migliore happy ending se non sguazzare poi nella della rana dalla bocca larga – che non è una barzelletta ma è una delle vasche costruite a bordo fiume da un baffuto signore russo nelle quali affluisce acqua termale calda – ?