La Cina sta mettendo a dura prova la nostra capacità di adattamento: nessuno parla inglese, gran parte degli hotel non accettano stranieri e ogni volta è una battaglia trovarne uno decente ad un prezzo ragionevole – a Kucha addirittura siamo stati scortati da un poliziotto – e quando facciamo autostop troppo vicini ai centri abitati veniamo circondati da capannelli di persone curiose che si fermano a fissarci da vicino senza il minimo senso di pudore impedendo ai nostri potenziali “drivers” di vederci.
Nonostante tutto fare autostop qui sembra più facile che in Asia Centrale e con una serie di passaggi fortunati arriviamo alla riserva naturale di Bayambulak, una delle praterie più grandi della Cina – e grande qui significa enorme – e dove non saremmo mai arrivati se non fosse stato per Antonio, un bergamasco conosciuto ancora in Kirghizistan che di Bayambulak è stato testimonial di un video promozionale.
(Nb: sembra che essere occidentali apra le porte per partecipare in spot e film… vedremo)
Kilometri e kilometri di recinzioni, una strada ad anello percorribile solo con un pullman a pagamento carico di turisti cinesi urlanti, free camping vietato (troppo pericoloso a detta loro), un laghetto artificiale dove galleggiano insieme a quattro cigni delle bottiglie di plastica e pioggia fitta e densa: non era proprio quello che ci aspettavamo!
Non ci lasciamo scoraggiare e dopo aver aspettato due ore sotto una tettoia che smettesse di piovere, piantiamo i picchetti nel fango dello spazio dedicato. Dopo una decina di minuti e altrettanti decilitri d’acqua caduti dal cielo, cediamo -fortunatamente – all’invito dei custodi mongoli a spostare la tenda all’interno di uno stabile nuovo ma già abbandonato e ci sembra di tornare a scuola e rivivere una occupazione.
Il risveglio è energia pura: il sole del mattino dall’interno dell’edificio non sembra far preludere ad una gran giornata ma appena mettiamo il naso fuori, la luce e il riflesso sulla neve – si, la neve, caduta nella notte di ferragosto – ci catapultano in una favola. Senza colazione e ancora intorpiditi saliamo di corsa sul crinale della collina e lo spettacolo che ci si apre davanti agli occhi ci e lo scricchiolare della neve sotto i piedi ci fa sentire come bambini .
Decidiamo sia giunto il momento di rimetterci in marcia, destinazione Tian-é-hú il vero lago dei cigni, che non era la pozza artificiale vista il giorno prima.
Di nuovo restiamo incantati e pensiamo a come possa essere quando, in primavera, si riempie di cigni che si fermano qui lungo il loro migrare.
Questa sorgente abbondante – questo vuol dire bayanbulak in mongolo- ci resterà per sempre impressa e speriamo un giorno di tornarci.