Cuore curdo

Arriva un momento in cui ti rendi conto che le cose sono cambiate, che nell’aria c’è qualcosa di diverso. Uomini donne e bambini ti squadrano come se fossi un extraterrestre ed essere vestiti come due escursionisti tedeschi di certo non aiuta. 

La prima reazione è quella di non sentirsi a proprio agio, anche se non vuoi diventi sospettoso ma quando capisci che gli sguardi sono solo di curiosità, allora tutto prende un’altra piega. Il curdistan turco ovviamente  fa parte della Turchia, è vero, ma conserva un’identità ben profonda e orgogliosa. La nostra prima vera tappa alla scoperta di questa regione è Urfa. Sbalorditiva. Molto mediorientale, caotica, non si sente quasi più parlare turco ma arabo e curdo (non che per noi cambi qualcosa alla fine). I ragazzi siriani che conosciamo per strada insistono per portarci in giro e altri ragazzini si fermano intorno a noi perché vogliono sapere da dove veniamo. Siamo a pochi chilometri dal confine con la Siria, di turisti in giro non se ne vedono molti e quando nel bazar ci perdiamo di continuo, chiunque è disposto a fare una viuzza con noi per portarci dove, secondo lui, è poi facile trovare la via di uscita. Il panettiere ci regala un lahmacun – non c’è verso di pagarlo – e i ragazzi che fanno catena di montaggio ci chiedono amicizia su Facebook. Il vecchietto di un negozio di tessuti, mentre parla al cellulare, vuole essere fotografato e vorrebbe offrirci un tè, le donne invece paiono troppo indaffarate per fare domande. 

Una delle due vasche del quartiere di Gölbaşı: vogliono ricordare la leggenda secondo cui Dio trasformó il fuoco su cui Abramo era stato condannato ad ardere in acqua. L’intero quartiere sorge intorno alla grotta importante meta di pellegrinaggio dove si dice essere nato il profeta.

      

      

  

  

 

 

 


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