Cappadocia

È mattina presto, ancora notte a dirla tutta. Non c’è scampo a questa levataccia ma 
lo scenario che ci si sta per aprire davanti agli occhi (e sotto ai piedi) è indescrivibile. Quello che dal basso sembrava il villaggio dei puffi dall’alto pare un enorme campo da biglie e con la luce rosea dell’alba tutto assume un aspetto ancora più incredibile. 
La città ancora dorme e il rumore intermittente delle fiammate che ci sollevano da terra è l’unica cosa che spezza il silenzio (oltre al chiacchiericcio dei 17 taiwanesi con cui condividiamo l’enorme cesto di vimini).
   

       


Nel pomeriggio passiamo dall’alto dei cieli agli inferi claustrofobici delle città sotterranee, altra bizzarria di questa morbida terra troglodita che ha concesso secoli fa ai bizantini di nascondersi a lungo nelle sue viscere per difendersi da arabi e persiani scavando fino a 100 metri di profondità una rete intestina di stanze, cunicoli, cucine e addirittura cantine per il vino. 

  

Il nostro sponsor ufficiale mamma Tony
 

Patara

 

Vento!!!!!

È ormai buio, carichiamo in auto un ennesimo Mustafa che guarda caso deve raggiungere Patara, come noi. E così veniamo a sapere che i 18 km di spiaggia sui quali pensiamo di dormire qualche notte sono protetti per la salvaguardia delle tartarughe e che dietro la spiaggia ci sono paludi, oltre che rovine antiche. Quello che non sappiamo è che in questo paesino c’è un ritmo caraibico e che si è talmente in pochi che nel giro di 24 ore si diventa parte della famiglia. E che famiglia! Mehmet (Memetto) Apo (lo “zio”) e Kadir (Ciccio pasticcio). Avremmo dovuto fermarci un giorno ma siamo rimasti al Camel Camping una settimana con la formula “all inclusive”, manovalanza in cambio di vitto e alloggio – ma non pensate a duro lavoro in cambio di un pezzo di pane – e dopo giorni di doccia fredda con bottiglie in mezzo ai cespugli, finalmente acqua bollente nell’hammam dello “zio”. 
 

La spiaggia di Patara
 

Le dune
La piscina naturale tra gli scogli al riparo dal vento
Cicciopasticcio,lo zio, noi due e Memetto dopo cena
Tonno appena pescato e gli immancabili pomodori
Tonno fresco e gli immancabili pomodori
Una parte del Lycia Trail, questa volta percorso rumorosamente con una jeep per la gioia degli hikers

 

La fine di una serie di reciproci regali con le sorelle del Buse Cafe: gli abbiamo prestato un paio di pantaloni e ci hanno regalato un sapone naturale, le abbiamo invitate x delle crepes e lasciato farina e zucchero e ci hanno offerto la miglior colazione che potessimo desiderare

 

Kiss me Lycia

Finalmente obbligati a viaggiare col finestrino abbassato e parcheggiare all’ombra, dopo aver visitato il villaggio fantasma di Kayaköy e impanato i piedi per un’oretta nella spiaggia di Ölüdeniz, iniziamo a camminare lungo il sentiero della Via Lycia – considerato uno dei trekking più belli al mondo – con la sensazione di una ventata di fortuna in poppa.  
       

La baia di Ölüdeniz e la Laguna Blu

 

Butterfly valley
Partiamo da Kabak nel tardo pomeriggio e per quanto il sentiero passi su pendii abbastanza scoscesi, improvvisamente la pineta e le rocce intorno a noi lasciano spazio ad un fazzoletto d’erba con vista mozzafiato sul sul sole ormai adagiato sul mare..impossibile resistere alla tentazione di piantare due picchetti. 
   
Camera con vista tra Kabak e Alinca
Niente galli o moschee intorno, questa volta a farci da sveglia di buon ora il belare di capre. Yogurt e miele autoctono per colazione e poi su e giù fino a sera. 
Pinete, campi, api, villaggi di poche decine di abitanti, qualche camminatore per lo più tedesco, tante pecore, pastori, fiori, profumi e sulla destra un rinvigorente turchese di questo mediterraneo turco.
Ancora un giardino appoggiato su una scogliera a picco sul mare tutto per noi, luna piena e il rumore delle onde.
Wow
 
Colazione nel paesino di Gey
  

Tra Gey e Bel
   
  
Colazione a Gavuragılı
  

  
Ali Büyüklüoğlu nel suo Candan’s garden a Gavuragılı. Maestro e arbitro di tennis originario di Artvin quest’anno farà il giudice di linea per la prima volta a Wimbledon. Se passate da queste parti non potetrete non fermarvi nel suo B&B che riesce a distinguersi per ospitalità e quiete in questo angolo di paradiso.
  


Fine della camminata
 

Dream in Pamukkale

 

Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, dopo il dialogo surreale avuto con il pastore appena svegli avremmo dovuto capire che sarebbe stata una giornata incredibile. 
  

 

Immaginate di camminare a piedi nudi su un castello di cotone e incontrare in una pozza con una rana un ragazzo di Taiwan capace di cambiare i vostri piani. Pensate poi di non leggere i cartelli e finire sempre a piedi nudi su piccoli cavolfiori di travertino protetti dall’UNESCO mentre una guardia tarantolata sbraita e agita le braccia. Supponete poi di ritrovarvi a fare un pic-nic con una tartaruga su un tappeto di lumache. Dopodiché immergetevi in acqua frizzante alla piacevole temperatura di 36° e guardate con gli occhialini bollicine e colonne antiche. Terminate con un arcobaleno che vi accompagna all’uscita e provate a dirci che questa non è stata una giornata da sogno. 
 
 
La rana
  
I cavolfiori

Il pic-nic
 
La tartaruga

Il castello di cotone (miniatura)

L’arcobaleno
   
E per finire, Mike!
 

           

Tempo di templi

 

 Le rovine dell’asia minore ci incantano anche se bagnati. Le strade in marmo, i palazzi e addirittura le case di Efeso rivivono grazie al brulicare di turisti da tutto il mondo (forse anche troppi) che la riempiono proprio come doveva essere 2000 anni fa. 
  
Camminata sulle mura che circondavano Efeso
  

 

Afrodisias invece è un’altra cosa, silenziosamente adagiata su una pianura paludosa è un’ esperienza più intima, le orde di turisti non la invadono e il gracidare delle rane nella piscina di 170 m che fungeva da centro dell’agora fa da sottofondo in questa sonnolenta mattinata. 
   

    

La pioggia e il sole si continuano ad alternare, ma i pomeriggi passati tra tavla, tè e narghilè ci aiutano a fare passare il tempo tra un raggio e l’altro.

Potrebbe sembrare tutto tranquillo e addirittura noioso ma questa anomala stagione turca dei monsoni oltre a provocare allagamenti in pianura trasforma le strade sterrate di montagna – sconosciute a chi non ha un trattore e percorse solo da imprudenti che sperano di trovare la scorciatoia – in tappe degne del Camel Trophy, dove per ovvi motivi, tra panico e imprecazioni, è stato impossibile documentare il fatto.  

Allagamenti

Road trip 

 

 Ri-partiti da Istanbul, questa volta concedendoci il lusso di un mezzo tutto per noi. Ed è proprio con il nostro bolide bianco e assettato che ci dirigiamo, sotto la pioggia battente che pare si diverta ad inseguirci, ai piedi dell’acropoli di Pergamo. 
Sara stata la stanchezza delle sei ore di viaggio o l’apporto calorico del dolce mangiato lungo la strada (una bomba al miele sormontata di doppia panna) fatto sta che i sedili ribaltabili sono risultati molto comodi e perfetti per una notte a budget zero.
Finalmente svegliati dalla luce del sole, visitiamo le rovine e ci dirigiamo felici verso Çesme, cercando di imparare le canzoni turche di Manço, unico CD a nostra disposizione regalatoci da Ertunç.
Neanche a dirlo e la perturbazione ci segue e quella che avrebbe potuto essere una scampagnata primaverile al mare finisce per diventare la nostra palestra di iniziazione al Backammon (che qui si chiama Tavla).
  
 
Altro che Autogrill..
  
  
Il teatro adagiato sul ripido fianco dell’acropoli
  

Il tempio di Traiano

  

  
 Bariş e Nazmi, i nostri host a Çesme, che studiando turismo hanno pensato fosse meglio praticare inglese con noi piuttosto che andare a lezione
  

 

 

 



   

   


Finale da Istanbul 

 
Il soggiorno inaspettato da Tomaso e Sevi di cinque giorni ad Istanbul ci ha ripulito (anche nel vero senso della parola) dal vagabondare continuo di un mese e ci ha fatto vivere la Istanbul-da-bere e il relax del piacere di stare in casa quando fuori piove prima di tornare a fare i viaggiatori a budget ristretto. Con loro siamo stati in un ristorante tipico innaffiando la cena con il raki, abbiamo fatto una spaghettata bevendo vino italiano e un salto al 360° a bere cocktail.

 

360°
  

Vista dal 360°
L’assaggio dei pickles
L’ostello dove avremmo dovuto fermarci per un paio di notti è invece rimasta la nostra base per tutta la settimana. Giorno dopo giorno abbiamo creato una routine, abbiamo fatto un po’ i turisti e visitato la Basilica Cisterna e moschee a Sultanhamet, abbiamo preso un battello a caso e scoperto un ottimo ristorantino di pesce a Kadikoi, siamo finiti in un mercato di piccioni e ci siamo rivisti con il nostro host di Edirne (Ertunç) che ci ha portato a bere tè e fumare narghilè in un bar all’interno di un palazzo fatiscente nei pressi di Taksim. 
  
La vista dalla terrazza dell’ostello Rout 39
 
Valutazione del piccione
  

Venditore ambulante di simit (bagel al sesamo)
Spremuta fresca di arancia 1tl

L’interno dell’ Hagia Sofia

Moschea Blu
   
Basilica cisterna
  

Un mosaico bizantino della Chiesa di Chora
A lasciarci un bel ricordo di questa metropoli è stata anche la nostra ultima giornata dal clima finalmente primaverile terminata con cena ottomana con il nostro amico Leo. 
 
Lungo il Corno d’Oro
  

Il mitico Ertunç
  

NOSTALGHIA 

Non c’entra niente la nostalgia.

È il titolo di un film di Andreij Tarkovskij, visto a casa di Tomaso e Sevi, a Istanbul. Un film che in qualche modo riflette i nostri giorni in questa città. Uno di quei film lenti in cui puoi permetterti di osservare e digerire i dettagli, dove non c’è una vera e propria trama da seguire ma un filo che ti incolla allo schermo per la bellezza intrinseca dei luoghi e per la poesia delle piccole cose.

Mentre sbrighiamo pratiche contorte per ottenere i visti, i gatti fanno un gran baccano sui tetti. Mentre camminiamo senza meta le bandiere sventolano ovunque. Mentre fischiettiamo “fiori rosa fiori di pesco” i carretti per strada vendono cuori di carciofi…

È passato un mese esatto dalla nostra partenza. L’emblema del film 1+1=1 (“Una goccia più una goccia, fanno una goccia più grande e non due”) e il discorso finale che esorta a seguire i propri sogni paiono azzeccati per la nostra prima, piccola ricorrenza. Anche se queste sono le teorie di un “pazzo”:

“La strada del nostro cuore è coperta d’ombra; bisogna ascoltare le voci che sembrano inutili; bisogna che dai cervelli occupati dalle lunghe tubature delle fogne e dai muri delle scuole, dagli asfalti e dalle pratiche assistenziali, entri il ronzio degli insetti. Bisogna riempire gli orecchi e gli occhi di tutti noi, di cose che siano all’inizio di un grande sogno. Qualcuno deve gridare che costruiremo le piramidi! Non importa se poi non le costruiremo. Bisogna aumentare il desiderio. Dobbiamo tirare l’anima da tutte le parti come se fosse un lenzuolo dilatabile all’infinito.” 

Edit

ChEdirne?!

Scampato il rischio di non riuscire nemmeno ad arrivarci – non tanto per la solita logistica improvvisata (treno-bus-autostop-frontiera a piedi-navetta-piedi) quanto per gli allagamenti che fino a due giorni prima avevano reso impraticabile l’attraversamento del fiume – col buio e con l’ultima pita-giros greca nello stomaco arriviamo nella nostra prima tappa turca: Edirne. 

La prima impressione è quella di trovarsi in un anonimo paese di frontiera un po’ sgarrupato e polveroso (pensiamo all’ennesima ricamata della Lonely) ma l’indomani, finalmente baciati dal sole, oltre ad una nuova lingua incomprensibile – nessuno spiccica più una parola di inglese – a darci il benvenuto è una tranquilla e ordinata cittadina, costellata di moschee monumentali, chador colorati e tintinnii di bicchierini di tè.




E così passiamo la giornata a gironzolare con Akan che ci racconta di tutto e di più su Edirne. Acquistiamo nel mentre una dolce dipendenza dal baklava, assaggiamo fegato fritto e scopriamo con stupore che i turchi non fumano come i greci! 

Baklava

Fegato fritto, peperoni verdi dolci, peperoncini verdi infuocati, peperoncini rossi secchi e salsa rossa piccante. Meno male che c’è l’Ayran da bere ..
Le moschee sono bellissime, quella di Selimiye è imponente, con una cupola mozzafiato e un’acustica da fare invidia ad un anfiteatro. Quella vecchia (Eski Cami) ha dei giganteschi motivi calligrafici in arabo sui muri che ai nostri occhi profani ricordano graffiti e che le danno quindi un aspetto più moderno. Poi scopriamo che proprio all’interno di questa, ogni venerdì sera l’imam brandisce una spada in ricordo delle truppe ottomane che secoli fa passavano da lì per prendere coraggio prima di andare alla conquista dell’occidente.. 

Akan ci spiega l’archiettura di Semiliye Cami

Interno di Eski Cami

Türkiye’ye hoš geldiniz

Pensavamo che il greco fosse difficile, ma appena varcata la soglia turca abbiamo capito il perché nella nostra lingua “parlare turco” è sinonimo di “parlare incomprensibile”. Meno male che 👍 è universale e così un furgoncino che vendeva tamburi si è fermato. Abbiamo cercato inutilmente di capire cosa volesse dirci e del perché fosse titubante nel caricarci ma alla fine ci ha fatto cenno di salire. Solo dopo 300 metri e altrettanti sorrisi dallo specchietto retrovisore, quando ha alzato le braccia e unito le punte delle dita creando una sorta di triangolo sopra la testa abbiamo capito perché si era fermato: lui era arrivato a casa. 

Piutost che nient l’è mei piutost!