Le rovine dell’asia minore ci incantano anche se bagnati. Le strade in marmo, i palazzi e addirittura le case di Efeso rivivono grazie al brulicare di turisti da tutto il mondo (forse anche troppi) che la riempiono proprio come doveva essere 2000 anni fa.


Afrodisias invece è un’altra cosa, silenziosamente adagiata su una pianura paludosa è un’ esperienza più intima, le orde di turisti non la invadono e il gracidare delle rane nella piscina di 170 m che fungeva da centro dell’agora fa da sottofondo in questa sonnolenta mattinata.

La pioggia e il sole si continuano ad alternare, ma i pomeriggi passati tra tavla, tè e narghilè ci aiutano a fare passare il tempo tra un raggio e l’altro.
Potrebbe sembrare tutto tranquillo e addirittura noioso ma questa anomala stagione turca dei monsoni oltre a provocare allagamenti in pianura trasforma le strade sterrate di montagna – sconosciute a chi non ha un trattore e percorse solo da imprudenti che sperano di trovare la scorciatoia – in tappe degne del Camel Trophy, dove per ovvi motivi, tra panico e imprecazioni, è stato impossibile documentare il fatto.
