
Autostrada. Abbiamo un cartello con scritto “Kashan” in persiano, il nome della città dove ci dovrebbe essere il festival dell’acqua di rosa. Veniamo caricati da due artisti, più precisamente un comico e il suo musicista dalla fronte ampia, quadrata e sporgente. L’autostrada e le stazioni di servizio sono affollate come il peggiore degli esodi estivi, e chi lo sapeva che fosse anche il compleanno di Maometto e che si fosse creato un ponte giovedì-venerdì-sabato? Nonostante ripetuti “no” Sirous ci compra una pizza, una “birra” ai frutti tropicali, dei biscotti e ci accompagna a destinazione deviando di non pochi km la loro strada. Ringraziamo sbalorditi per questo eccesso di generosità senza sapere che nelle seguenti ore saremmo stati in balia dell’ospitalità iraniana senza possibilità di scelta.
I giardini che visitiamo a Kashan (Fin Garden) che dovrebbero regalare momenti di quiete e meditazione sono letteralmente invasi da famiglie che come d’abitudine si accaparrano qualsiasi angolo d’ombra per fare un pic-nic. Davanti ad ogni qualsiasi cosa di lontanamente artistico si scattano delle fotografie e nei canali che percorrono il perimetro del giardino scorrono anche bottigliette di plastica. L’anarchia è totale, potremmo iniziare ad urlare anche noi ma decidiamo di prenderla con filosofia: piedi nella fontana, tiriamo fuori del cibo (gli avanzi della cena del fancy-restaurant di Teheran) e pranziamo.
Sotto il sole cocente camminiamo verso il centro città che dista circa 8 km. Ne percorriamo forse 3 e troviamo un quadrato d’erba all’ombra di un albero e letteralmente ci sdraiamo (con lo zaino ancora attaccato alle spalle) per tirare il fiato.
Mosso forse da compassione un ragazzo ci porta due spiedini di pollo, del pane e dello yogurt da bere per poi invitarci sotto l’ombra del suo albero a bere un tè con sua moglie è un altra coppia di amici. Decidono che non possiamo continuare a piedi, che ci accompagneranno in centro e che visiteranno con noi una casa antica (pagando per noi il biglietto).
Piantiamo la tenda nel bel mezzo del centro città – praticamente in una grande aiuola adibita a parchetto – ma senza per questo risultare dei ribelli fricchettoni, anzi..in confronto all’organizzazione delle famiglie iraniane (tappeti per pregare, narghilè, bollitori per il tè e un’infinità di pietanze) risultiamo soltanto dei dilettanti.. Ne approfittiamo anche per fare un giro per la città di sera, gli zaini ce li tiene un signore nel bagagliaio della sua auto.
Il mattino seguente di nuovo autostop, ora sono 4 ragazzi ventenni a caricarci, direzione Abyaneh, un paesino di montagna con case tipiche che si rivela purtroppo un po’ una delusione.

Il nostro programma iniziale era di campeggiare ma assolutamente non possiamo dormire in tenda, farà freddo e i pisquani insistono: dobbiamo dormire a casa loro (dei loro genitori) vicino Isfahan. Ok, allora guidiamo e cantiamo e balliamo in macchina per 3 ore e arriviamo a destinazione.
Ad Isfahan alla fine ci arriviamo il giorno dopo – scortati da due dei quattro – perché lasciarci prendere un bus sarebbe un vero colpo basso per gli standard di ospitalità, ma con una mossa astuta (gli rubiamo di mano la carta di credito) riusciamo finalmente ad offrire loro una cena.